palliativeSimone è un uomo di 46 anni, è un geologo, per lavoro e diletto ha girato il mondo, e soprattutto è uno scalatore, ha raggiunto vette inimmaginabili.

È sposato ha una bambina di 3 anni e la moglie Morena è in attesa del secondo figlio al sesto mese di gravidanza. Il padre anziano e il fratellastro più grande di lui abitano in una città lontana, dove risiedono tutti i suoi parenti d’origine; Lui invece vive in un paese vicino a Torino e qui sono presenti i suoi amici, che con la famiglia lo accompagneranno nel percorso terapeutico.

Ottobre 2010: Questo giovane uomo ci è inviato in consulenza dalla chirurgia, per un dolore non ben controllato dalle attuali terapie, (contramal xx gtt per 4) ma anche perché è già evidente la necessità di sostenerlo con un approccio multidimensionale di cure palliative. Ha un tumore del pancreas che invade già lo stomaco e il fegato, il riscontro di malattia è recente (il 24/9 è ricoverato per accertamenti dopo una colica e i primi segni di sofferenza li ha avuti a Maggio con dolori alla schiena curati come sciatalgia).

Per noi la situazione è chiara, per Lui no!

In attesa di una biopsia epatica che farà in DH fra due giorni, si trova adesso a vivere nella più totale negazione “non può esserci qualcosa di veramente brutto, poi mi opereranno e mi tolgo questo problema”.

Parla molto rapidamente ha un respiro superficiale con una frequenza respiratoria elevata, non riesce a stare fermo sulla sedia e ha gli occhi sgranati tutto in lui esprime la paura.

È una situazione che ci capita spesso di affrontare.

Così cominciamo la danza.

Quando a scuola ti danno da risolvere un’espressione di matematica, alla fine c’è anche il risultato ma, pur conoscendolo, devi applicare tutte le regole, e seguire tutti i passaggi, senza saltarne nessuno, per arrivare ad ottenere quel risultato.

Il primo passaggio è dargli un farmaco per il controllo del dolore Depalgos 5mg x 4 poi 10mg; per fortuna il medico palliativista ha una lunga esperienza e sa come approcciarlo perché possa aderire alla cura, rispettando e adattando ai suoi tempi ciò che poteva apprendere sul suo stato di salute per essere consapevole e comprendere il programma terapeutico. Molti pazienti e famigliari non sempre sono in grado di ascoltare verità troppo forti, o di ascoltarle subito. Il nostro paziente ha anche un problema di stitichezza e questo  permette a noi infermieri attraverso l’educazione terapeutica di instaurare un primo passo nella relazione di fiducia che necessariamente dovrà svilupparsi per poterlo aiutare.

Due giorni dopo la biopsia epatica arriva da noi, con una richiesta di visita urgente per dolore  ampiamente aumentato e non controllato. Nei giorni precedenti era stata già aumentata la dose del farmaco analgesico e anche l’introduzione dell’antinfiammatorio aveva dato scarsi risultati. Oltre al dolore l’agitazione  con cui si è presentato ha reso evidente che avrebbe avuto bisogno anche di un supporto psicologico. Dopo aver trattato il dolore con la morfina sottocute e averlo tranquillizzato con tecniche di rilassamento abbiamo attivato la psicologa del reparto affinché avesse uno spazio di ascolto per la sua ansia.

La terapia antalgica (oxycontin 10mg x2 +soldesam+ morfina cloridrato fl x os al bisogno e in ultimo se indispensabile un antiinfiammatorio) funziona e per un po’ (fine ottobre) tutto sembra procedere bene ma comincia ad avere difficoltà ad alimentarsi per l’aumento del dolore postprandiale e perde 4 Kg in 12 giorni. Gli abbiamo dato le indicazioni per un’alimentazione adeguata alla situazione e si è provveduto ad aumentare la terapia antalgica (oxycontin 50mg x2 il resto invariato).

A fine Ottobre è ricoverato in chirurgia per eseguire intervento chirurgico, durante l’attesa il paziente sembra di nuovo molto lontano dalla realtà e dichiara aspettative dall’intervento che non possono coincidere con quanto lo attende. In quei giorni di ricovero il medico, la psicoterapeuta e l’infermiera palliativista lo seguono quotidianamente in collaborazione con l’equipe di reparto. Durante l’intervento la massa risulta inasportabile, e si eseguono solo biopsie per avere un riscontro istologico grazie al quale tentare di impostare una terapia chemioterapica per rallentare l’evoluzione della malattia. Nel periodo di ricovero la terapia antalgica si avvale del catetere peridurale ed è possibile utilizzare anche l’anestetico, il controllo del dolore è buono ma in considerazione delle prossime dimissioni bisogna modificare la via di somministrazione della terapia. (MS Contin 120mg x 2 + soldesam e paracetamolo).

È in questo momento che Simone finalmente  si permette di far venir fuori la disperazione, con una grande reazione di rabbia, ovviamente rivolta all’equipe di cura (chi altri?); anche questa volta l’intervento dell’infermiera palliativista che attua tecniche di comunicazione ipnotica il rilassamento è risolutivo per controllare momentaneamente la situazione.

Dopo la dimissione dal reparto di chirurgia sarà appoggiato all’equipe di cura oncologica del CAS.

Il tempo è breve e la malattia e le cure da apportare procedono senza tregua, e Lui ancora non è pronto ad affrontare questo velocissimo cambiamento di programma che la vita gli porta; chiede di essere messo in condizione di tornare a lavorare e rifiuta la possibilità di utilizzare un elastomero per l’infusione continua di morfina perché questo strumento non gli permetterebbe l’autonomia di movimento prevista per svolgere il suo lavoro. Pur sapendo che sarebbe tecnicamente il miglior modo di somministrare il farmaco, gli veniamo incontro, parliamo con il medico di medicina generale e informandolo del programma terapeutico ci assicuriamo la possibilità di far seguire Simone dall’Assistenza Domiciliare Integrata. Noi garantiamo la reperibilità sulle 24 h, ma alcune pratiche terapeutiche possono essere effettuate a domicilio se ben organizzati; in questa fase lavorare e collaborare in rete con il territorio ci permette di dare una continuità di cura e assistenza. Dopo un consulto con i dietologi sono prescritte delle sacche nutrizionali di supporto che saranno applicate a domicilio.

Finora Simone si è presentato spesso da solo alle visite. La moglie, dato il suo stato, è poco presente, anche perché il paziente ha un atteggiamento molto protettivo nei suoi confronti, questo è comprensibile ma non ci aiuta nella gestione di un momento così difficile, anche lei non ha chiara la situazione, sono ovviamente entrambi estremamente focalizzati su una risoluzione terapeutica del problema, nel loro progetto c’è una nuova vita in arrivo e la distanza tra l’aspettativa di guarigione e la sua reale possibilità non potrebbe essere più grande.

Approfittiamo del ricovero nel nostro DH per il posizionamento di un Port endovenoso per effettuare la terapia e in quell’occasione incontriamo Morena (la moglie). L’approccio con lei, è apparentemente facile, sembra essere molto disponibile e collaborante nella cura e assistenza di Simone a domicilio. Le offriamo anche il supporto psicoterapeutico di cui crediamo possa avere bisogno ma lei garbatamente lo rifiuta. È evidente l’incredulità con cui, ascolta e immediatamente “cancella” le informazioni circa il programma terapeutico, che però non prevede la guarigione come obiettivo; anche lei attua la negazione dell’evidenza; per poterla sopportare indossa una corazza che le permette di vivere in modo distaccato quello che si sta prospettando. Sembra essere molto forte, e nonostante il medico palliativista, le parli con estrema competenza e franchezza lei si focalizza sull’organizzazione della terapia chemioterapica e come spesso accade, ha bisogno di sentirsi utile, di “fare”; per questo attraverso l’educazione terapeutica le diamo compiti precisi da svolgere e le chiediamo di occuparsi, di tenere un diario: alimentare, dei sintomi e dei rimedi apportati, e come da copione lei è stata molto ligia nella compilazione. Quel diario è diventato il mezzo con cui attuare una relazione di fiducia e farle pian piano prendere coscienza dell’evidenza, nero su bianco di quanto stava accadendo.

Come spesso accade, l’intero percorso assistenziale di Simone è stato un continuo contrattare, cercando di venirgli incontro, tra ciò che voleva e le reali possibilità di cura e d’assistenza. Il dolore era più o meno controllato secondo il suo stato emotivo, ma comunque cresceva dato il continuo avanzamento di malattia.

L’equipe di cure palliative si è più volte dovuta confrontare con una situazione in cui il tempo a disposizione sembrava correre più in fretta di quanto fosse sostenibile per una giovane coppia in attesa di un figlio. La nostra speranza era che riuscisse ad avere almeno la gioia di vederlo, ma il dolore sembrava sfuggire al controllo e Simone pian piano si è convinto che una terapia mediante elastomero gli avrebbe permesso  almeno di rimanere a casa con la sua famiglia (morfina cloridrato 170mg die sc).

L’ansia con cui Simone viveva ogni passaggio era davvero elevata. Per noi la difficoltà non era individuare la terapia antalgica ma riuscire ad avere la sua compliance alle cure. A fine Novembre Simone si presenta in reparto per dolore non controllato, bisogna cambiare l’elastomero sottocutaneo e applicarlo EV per la presenza di granulomi. L’addome di Simone comincia a essere sempre più globoso perché la massa cresce e la cute è molto tesa. Un pomeriggio di metà Dicembre Simone si fa accompagnare da un amico nel nostro reparto. Il dolore è aumentato, la nausea è diventata insopportabile ma, soprattutto, per la prima volta piange disperato, dichiara di avere paura di non farcela, chiede di essere ascoltato, di poter dire finalmente le sue paure. Ha bisogno di uno spazio dove poter dire senza più fingere, senza la maschera che indossa per tranquillizzare la moglie. Vuole solo poter piangere, raccontare le sue paure, dire che non sa se riuscirà a vedere suo figlio e ci chiede di dargli forza per tornare ancora a casa perché anche se pensa di non farcela lui deve lottare. Lo ascoltiamo e lo rassicuriamo sulla normalità dei suoi bisogni e sul fatto che può trovare nella nostra equipe un ambito di rispetto e condivisione e quindi gli offriamo la possibilità di rendersi conto che non lo abbandoneremo, faremo insieme quell’ultima scalata fino alla vetta. È stata l’ora più straziante per me e per la dott.ssa presente, è normale essere turbati e talora sconvolti quando la relazione terapeutica è così intensa, medici e infermieri sono persone prima che professionisti, nonostante la preparazione specializzata in cure palliative, dobbiamo fare i conti con la nostra fragile umanità, che però per fortuna è anche quella che ci rende capaci di essere empatici. Dopo quello sfogo, gli abbiamo praticato l’agopuntura per il controllo della nausea e l’ipnosi per dargli uno strumento di autocontrollo a casa, per fortuna l’insieme delle terapie mediche e complementari hanno sortito l’effetto desiderato, quel lungo pomeriggio è stato uno dei momenti cruciali del suo percorso. Rassicurato dalla possibilità di continuare il percorso di cura con il nostro sostegno, sapendo di avere un riferimento certo, uno spazio in cui raccontarsi sapendo di essere accolto e ascoltato, Simone torna a casa seguito sempre in collaborazione con l’ADI.

Prima di Natale si reca presso il COES, dove gli sarà praticato l’ultimo ciclo chemioterapico e una trasfusione, trascorre il Natale con la famiglia e con grande gioia il suo dolore misurato NRS è 0.

Il 30/12 si reca al P.S. dell’ospedale di Chieri per improvviso intenso dolore addominale, è ricoverato e mentre lui si reca al P.S., la moglie partorisce Paolo all’ospedale S. Anna (in anticipo sui tempi previsti). È un momento molto difficile per tutti, sembra che la situazione sia precipitata, ma lentamente, collaborando con l’ospedale di Chieri siamo riusciti a farlo dimettere. Il 3 Gennaio è ricoverato nel nostro DH, dove rivalutiamo la situazione e aumentiamo notevolmente l’infusione di morfina a 220mg ev die. Il suo desiderio di andare a casa è comprensibile ma le sue condizioni peggiorano notevolmente; la comparsa di ascite addominale e edemi declivi specie in una gamba ci fa temere la fine. Si decide per una trasfusione di sangue e, nonostante l’evidente difficoltà oggettiva di potergli far assumere una posizione adeguata, si decide di posizionare un catetere port peridurale per sfruttare l’anestetico come potenziamento della cura antidolorifica. Ancora una volta è stato necessario calmare l’ansia con adeguate tecniche di rilassamento e durante l’intervento ci siamo avvalsi della sedazione ipnotica per avere la compliance all’intervento sopratutto per fargli mantenere la posizione nonostante la situazione. Grazie ad un miglior controllo dei sintomi, Simone riesce a trascorrere alcuni giorni a casa venendo occasionalmente in DH per adeguare la terapia. Il corpo di Simone si trasforma sempre più. La massa tumorale invade l’addome e l’edema gonfia enormemente le gambe. Per questa situazione il catetere peridurale non riesce più ad assorbire il farmaco. Morena, che si è ripresa velocemente dal parto, lo accompagna in DH. L’unico modo per continuare a controllare il dolore è l’infusione di boli di anestetico nel cateterino peridurale. Dopo alcuni giorni di educazione terapeutica e counseling Morena è competente nella gestione della terapia a domicilio, Simone chiede di non essere ricoverato e Morena con un neonato da allattare preferirebbe rimanere il più possibile a casa. Li seguiamo a distanza, passo passo, e cerchiamo di offrirgli quanto richiesto (un periodo di sufficiente benessere per riuscire a godere la possibilità di stare in famiglia). Il 25/01/2011 però il dolore è totalmente incontrollato. Simone è ricoverato d’urgenza nel reparto di oncologia, il catetere peridurale deve essere riposizionato anche questa volta nonostante le evidenti difficoltà grazie alle tecniche di induzione ipnotica riusciamo a garantire la compliance alla procedura; fatto ciò, nonostante tutto, il controllo del dolore è molto difficile, anche perché, non accetta l’effetto collaterale sedativo dei farmaci, vuole “sentirsi sveglio, lucido,  ancora vivo”. Il 27/1, pur essendo ricoverato in un reparto dell’ospedale, ci chiama, lui direttamente, per dirci che il dolore è NRS 10. È molto sofferente e agitato. I farmaci analgesici e gli antinfiammatori non sortiscono effetti benefici; alcune ore dopo il dolore con un bolo anestetico si attenua così, risulta che il catetere funziona solo con la spinta dei boli. Probabilmente la compressione dei tessuti interni che premono intorno al catetere lo stanno occludendo. In questa situazione si è venuto a creare anche un altro problema, la mancanza di fiducia nell’equipe del reparto dove è ricoverato e questo a nostro avviso è gravissimo, perciò il coinvolgimento attivo degli infermieri di reparto quando entravamo in contatto con il paziente è stato fondamentale così come la consegna a loro delle soluzioni da implementare, piuttosto che risolvere direttamente noi le problematiche assistenziali, offrivamo le nostre consulenze ai colleghi di reparto perché si ponessero loro come risolutori delle varie problematiche. La stesura di un protocollo di cura mise gli infermieri in condizione di agire tempestivamente nel controllo dell’incremento del dolore senza necessità di temporeggiare in attesa di  una rinnovata prescrizione. Abbiamo supportato il personale infermieristico di reparto sulla gestione dei farmaci antalgici, dalla somministrazione al controllo degli effetti collaterali, fornendo continue informazioni e feedback sull’operato e rassicurandolo sull’adeguatezza degli interventi. È fondamentale, per ottenere una buona compliance, creare fiducia verso le persone che si occupano dell’assistenza.

La difficoltà di controllo del dolore e la consapevolezza che non sarebbe più guarito lo rendevano oltremodo agitato, con noi parlava dei suoi timori, non voleva più risposte, solo poter condividere quei momenti e finalmente fu in grado di dichiarare a Morena le sue volontà dopo la sua dipartita. Sembrava quindi che la situazione gli fosse chiara, ma ogni volta che facevano un passetto avanti verso la consapevolezza, la paura li faceva tornare indietro sui loro passi e si rifugiavano nella negazione anche di fronte all’evidenza più sconcertante. Nuovamente mantenere l’equilibrio tra consapevolezza della realtà e speranza oltre ogni immaginazione era estremamente difficile da raggiungere, abbiamo verificato in un primo momento se fosse possibile una dimissione protetta a domicilio ma considerato tutte le variabili non era fattibile realizzarla dignitosamente, dovevamo lavorare sulla consapevolezza della realtà, per garantirgli le migliori cure possibili.

L’1/2 organizziamo un colloquio tra la moglie e parte dell’equipe di cura. Erano presenti il medico oncologo di riferimento e la caposala del reparto di degenza, la dottssa palliativista, la psiconcologa che si occupa del progetto protezione famiglia e un’infermiera di cure palliative.  In quell’occasione si è detto chiaramente della gravità della situazione, abbiamo esposto il programma d’assistenza e riferito che vista l’ultima TAC avremmo terminato qualunque terapia attiva e che, vista l’estrema sofferenza del marito, ci sembrava opportuno, per mantenere il controllo del dolore, accettare come effetto collaterale che fosse più sedato. Ci siamo resi disponibili a tutti i chiarimenti desiderati e abbiamo evidenziato ancora una volta la possibilità di essere aiutata in questo percorso dalla psicologa sia per lei sia per la figlia. Dopo un’ora di colloquio pensavamo di aver chiarito bene ogni questione ma nel pomeriggio passando per un saluto, Morena approfitta di un momento di riposo del marito e mi chiede di accompagnarla a prendere un caffè. Aveva bisogno di sentirsi dire tutto da capo. Mi ha detto che era molto stanca, aveva paura di non farcela più ad andare avanti e indietro tra ospedale e casa. Era molto preoccupata per la piccola Chiara e non aveva avuto il coraggio di dire a Simone che il piccolo Paolo aveva qualcosa al cuore infatti, la pediatra voleva che facesse un ecocardiogramma. Dal racconto non sembrava essere un problema gravissimo: la dott.ssa aveva sentito un soffio. In quel momento non potevo far altro che offrirle la possibilità di occuparmi io della prenotazione dell’ecografia del piccolo e di cercare un bravo cardiologo all’ OIRM, quel momento è stato importantissimo perché le ha permesso di alleggerire un po’ del suo fardello e accollarsi un po’ delle evidenze di cui avevamo parlato.

Da allora Morena chiede continui colloqui, chiarificatori della condizione e pur accettando la realtà, non ha mai perso la speranza che il marito avrebbe potuto stare meglio e tornare un po’ a casa.

L’1/2 la comunicazione di sospendere terapie attive (chemioterapia) è stata data anche a Simone che dopo aver parlato con Morena ci chiede di andare a casa se tutto ciò che rimane da fare è solo la sacca nutrizionale e la terapia antalgica, “intanto io cerco di star su, può darsi che trovino qualche nuova terapia nel frattempo, devo solo cercare di mettermi un po’ in forze magari a casa riesco a mangiare qualcosa”.

Eravamo alla negoziazione, gli abbiamo detto che avevamo cercato di organizzare le cure domiciliari, che per ora non era possibile ma se le condizioni lo avessero permesso tutto sarebbe stato pronto per il trasferimento a domicilio. Il giorno dopo il dolore era nuovamente aumentato e l’agitazione anche, il catetere peridurale non permetteva nemmeno l’infusione dei boli, e non rispondeva più alla sola morfina ev. Il medico palliativista decide di integrare la terapia con metadone endovena il dolore sembra essere meglio controllato e per ridurre la dispnea e l’agitazione s’inizia infusione d’ipnovel in pompa. Il paziente è facilmente risvegliabile ma chiede di non essere così sedato.

Il reparto si prodiga per riuscire a dare a Simone una stanza singola dove può sentirsi maggiormente a suo agio e, in effetti, dati gli eventi sembra essere stata davvero una grande opportunità: lì ha avuto  quell’ambiente un po’ più personalizzato con foto, oggetti, profumo, piccole cose che rendevano quella la ‘sua’ camera. Ogni volta che entravi nella sua stanza, ti rendeva partecipe di un pezzo della sua vita, di quella trascorsa, di quella attuale ma anche delle sue speranze e dei suoi sogni per il futuro; in quella sua stanza abbiamo anche riso di gusto e condiviso momenti di gioia, oltre che asciugato le lacrime, minuscoli piaceri carichi di emozione e complicità: più semplicemente di vita.

Fino al 5/ 2 le cose sono andate avanti con i sintomi sufficientemente controllati. La massa che si espandeva nell’addome continuava a ridurre lo spazio per l’espansione dei polmoni, in un colloquio con l’infermiera palliativa, dopo una brutta crisi dispnoica, è chiarita ancora una volta la necessità di aumentare il sedativo per ridurre la spiacevolezza dei momenti di dispnea, specie durante la notte. Ponendo l’accento sulla necessità di riposare, si raggiunge l’accordo di aumentare l’infusione del sedativo durante la notte e ridurlo durante il giorno.

In un momento di calma di Simone ho chiesto a Morena se voleva venire a prendere un caffè, in quell’occasione le ho proposto di telefonare insieme al fratello di Simone e dirgli che era arrivato il momento di venire a salutarlo se voleva avere ancora l’occasione di parlargli. L’ha chiamato e si è sentita molto sollevata nello scoprire che il fratello sarebbe arrivato il giorno dopo (nel frattempo Paolo ha fatto l’ecocardiogramma e i risultati sono stati abbastanza tranquillizzanti, dovrà solo essere controllato periodicamente).

Il 6/2 il fratello di Simone arriva ed è un aiuto prezioso. Morena riesce a rimanere di più a casa con i bambini e può riposare un po’. Giorgio (il fratello di S.) non si allontanerà dalla stanza di Simone fino alla fine. L’infermiera di cure palliative ha un colloquio con lui e risponde a tutte le domande.

Con la dott.ssa e l’infermiera Morena ha opportunità di chiedere chiarimenti circa ciò che avverrà di lì in avanti. Decide di portare Paolo affinché Simone lo possa salutare ma concordiamo con lei di non portare Chiara che potrebbe rimanere inutilmente traumatizzata dalla visione di un papà così trasformato, neppure più fisicamente simile all’uomo che ricorda.

Nonostante la sedazione e l’impossibilità fisica Simone si alza più volte in piedi durante la notte e il giorno, sembra che la sua volontà di combattere sia superiore alle possibilità del suo organismo.

Per permettergli un miglior riposo di notte accetta di aumentare il sedativo ma di giorno vuole rimanere vigile, il dolore è ben controllato dal metadone 130mg die più antinfiammatorio ev.

Arriva anche il suo anziano padre a congedarsi da lui e riescono a parlarsi per qualche ora.

Le infermiere e i medici delle cure palliative passano a trovarlo almeno una volta nella giornata, e qualcuna di noi anche a fine turno, quando il tempo non è tiranno. Ogni volta che poteva ti prendeva la mano e diceva “non lasciarmi solo lo hai promesso”. Negli ultimi giorni Morena veniva pochissimo c’era Giorgio vicino, lei non ce la faceva, era molto stanca i bambini piccoli il parto appena superato ma sopratutto non ce la faceva ad accettare di vedere il marito spegnersi, era irriconoscibile e il vederlo così sofferente o sedato la faceva soffrire enormemente, così anche quando c’era non stava più nella stanza con lui, invece cercava conforto e parlava con noi raccontandoci come pensava sarebbe stato un futuro molto lontano da lì, in qualche modo si preparava al distacco, Simone comunque non era mai solo oltre al fratello poteva contare su un certo numero di amici che lo accudivano.

Il 12/2 era sabato e sono stata con lui a lungo. Ho dato il cambio a Giorgio perché potesse andare a casa a farsi una doccia ma soprattutto gli tenevo la mano, gli ho lavato soprattutto la bocca, il resto del corpo era quasi intoccabile. Simone aveva ancora degli sprazzi di lucidità. Non so proprio con quale forza ha voluto alzarsi ancora una volta. Con un filo di voce, e una fatica indicibile continuava a chiedere di non lasciare sola Morena e i suoi bambini. Aveva il respiro talmente affaticato, non stava sdraiato ma seduto con le gambe giù dal letto, con i cuscini che lo reggevano tutto intorno. Ormai rantolava, la sera sono andata a casa serena, sapendo che non mi avrebbe più salutato pugno contro pugno come facevamo sempre. Eravamo arrivati al risultato dell’espressione matematica, avevamo sviluppato tutti i passaggi e la risposta era esatta.

Domenica Mattina alle sette telefono al fratello, mi dice che ha avuto una notte agitata nonostante l’ipnovel in infusione. Vado! giusto in tempo per tenergli la mano e sorreggergli il capo perché lui è morto seduto, con i piedi a terra, pronto ad alzarsi e andar via. Abbiamo telefonato a Morena, non è venuta, non ha più voluto vederlo, non se la sentiva. Ho avvisato le mie colleghe quelle che lo avevano seguito, eravamo tutte partecipi di un percorso fatto insieme.

Ci siamo stati fino alla fine come avevamo promesso.

L’ho accompagnato alle sale mortuarie anche per non lasciare Giorgio solo in quel lugubre tragitto dietro al feretro di ferro.

Morena con una scusa per chiedermi informazioni su una prenotazione per Paolo il giorno prima del funerale mi chiama. Non sa cosa fare con Chiara, come dirglielo e soprattutto non sa se farla partecipare al funerale o no. Alla fine decide per il no (aveva già deciso) ma evidentemente era una scusa per chiamarmi. Avere a che fare con me era un po’ continuare il percorso, almeno il suo, che non era certo terminato e, avendo rifiutato altri sostegni che le erano stati offerti, ero rimasta l’unico collegamento tra il periodo della malattia di Simone e una nuova strada da percorrere senza Lui. Inconsapevolmente mi chiedeva di aiutarla in questo passaggio.

Abbiamo continuato a sentirci tutti i giorni anche più volte e soprattutto con le mail, alle quali rispondevo con tempestività. Pian piano sono riuscita a dilungare il bisogno di rimanere legata a quel periodo e a spingerla verso il futuro diradando anche la frequenza con cui rispondevo alle mail. Ora ci sentiamo molto raramente e so che ha ripreso a lavorare.

Non tutti i pazienti richiedono un impegno così profondo. Tra chi cura e chi è curato si instaurano dei legami, essere turbati e tristi quando un paziente muore è del tutto normale e umano. Capita a volte di ricordarsi anche dopo che è trascorso molto tempo di alcuni momenti condivisi con alcuni pazienti, noi manteniamo una emotività viva, solo, dobbiamo riconoscerla per non esserne schiavi, negarla non ci può aiutare in nessun modo. Siamo consapevoli che entriamo nella vita di altri esseri umani che arrivano con una loro storia, e noi una nostra, loro però sono in una fase molto speciale di quest’esistenza e il nostro contributo per alcuni di loro può fare la differenza  in quel tratto di percorso. Quando la medicina non può più salvare il corpo, rimane comunque la cura dell’uomo. L’ospedale oggi non è concepito per questo, si stanno costruendo nuovi ambienti dove accogliere i morenti, gli hospice, dove le cure palliative trovano la dimensione per esprimersi; questi luoghi però sono, per varie ragioni, usufruibili solo da una minima parte dei pazienti che ne hanno necessità, e a tutt’ora la fine della vita molto spesso si svolge negli ospedali, per questo gli infermieri specializzati in cure palliative hanno un loro ruolo preminente sia nell’assistenza diretta dei pazienti sia nel promuovere presso i colleghi dei vari reparti una cultura umanizzata delle cure oltre che tecnicamente ineccepibile. Chi di noi pensa di non dover mai essere in uno di quei letti? Come immaginiamo quell’esperienza dall’altra parte? Il lutto è universale, tutti ne abbiamo subito uno. Questo ci avvicina all’altro ma anche fra di noi, possiamo sopportarlo solo se non ci sentiamo soli. Per questo noi  dell’equipe di cure palliative abbiamo imparato a sostenerci a vicenda, a condividere le esperienze e cerchiamo di sostenere anche i colleghi che lavorano nei reperti ricordandoci che se pure non abbiamo salvato quella persona possiamo aver fatto la differenza in quella piccola parte della sua vita, è questo ruolo che dà valore al nostro lavoro.

Certo Simone è morto ma restando vivo fino in fondo.

MilenaMilena